All’IMCID 2025 il Prof. Sandro Barni evidenzia l’importanza dell’integrazione marziale nel paziente oncologico e il ruolo emergente della gestione del metabolismo del ferro nei percorsi terapeutici.

La nona edizione dell’International Multidisciplinary Course on Iron Deficiency (IMCID) ha riunito a Palermo specialisti e ricercatori da tutto il mondo per fare il punto sulle più recenti evidenze scientifiche in tema di carenza di ferro, una condizione trasversale a molteplici ambiti clinici. Tra i protagonisti del programma scientifico 2025, il Prof. Sandro Barni, Direttore Emerito dell’Oncologia presso l’ASST BG Ovest – Ospedale di Treviglio, è intervenuto in qualità di membro del Comitato Scientifico e chair della sessione dedicata all’oncologia. In questa intervista, ci parla del ruolo sempre più strategico del ferro nella pratica clinica oncologica.


Professore, cosa rende particolarmente rilevante questa edizione dell’IMCID rispetto alle precedenti?

Penso che questo congresso rappresenti davvero un unicum, oltre che un punto di riferimento per la comunità scientifica. La carenza di ferro è un argomento che raramente trova spazio nei principali congressi medici, mentre in questo contesto viene affrontato in modo approfondito e multidisciplinare. Oggi abbiamo finalmente a disposizione una mole crescente di pubblicazioni scientifiche che dimostrano quanto la carenza marziale incida concretamente sulla pratica clinica. Per troppo tempo questo tema è stato sottovalutato. Oggi, invece, è al centro di un rinnovato interesse, e l’IMCID sta contribuendo in modo decisivo a valorizzarne l’importanza.

Nel paziente oncologico l’anemia è una problematica frequente e complessa. Quali sono le ultime indicazioni per gestire la carenza di ferro in questo contesto?

L’anemia, specie se di grado severo, può impedire la prosecuzione dei trattamenti oncologici, in particolare delle terapie mediche, ma anche della radioterapia, che risente moltissimo dell’ipossia indotta dalla riduzione dell’emoglobina. È importante quindi prevenire e gestire questa condizione in modo tempestivo.
Sappiamo che tra il 50 e il 60% dei pazienti oncologici presenta già una condizione di carenza di ferro, o addirittura anemia conclamata, al momento della prima visita. Questa tendenza tende a peggiorare nel tempo a causa delle tossicità legate a chemioterapia, ormonoterapia, terapie a bersaglio molecolare, immunoterapia e, più recentemente, agli ADC. Se non si interviene per correggere la carenza di ferro e/o l’anemia, spesso si è costretti a ridurre le dosi o a sospendere le terapie, con impatti negativi sull’outcome clinico.

Il metabolismo del ferro può influenzare direttamente la progressione tumorale?

Questa è una domanda complessa. Al momento non abbiamo ancora dati certi che ci consentano di stabilire un nesso causale diretto. Tuttavia, è evidente che la mancata correzione della carenza di ferro comporta interruzioni e riduzioni delle terapie, che a loro volta possono peggiorare l’andamento della malattia. Dunque, anche se indirettamente, il metabolismo del ferro ha sicuramente un impatto importante sulla prognosi.

Esistono situazioni in cui l’integrazione di ferro si dimostra particolarmente decisiva?

Sì, e oggi abbiamo evidenze sempre più solide. In questa edizione dell’IMCID, ad esempio, sono stati presentati due studi sull’uso del Ferro Sucrosomiale® in associazione con trattamenti chemioterapici e chemio-radioterapici. In entrambi i casi, l’integrazione ha consentito di mantenere livelli stabili di emoglobina, evitando interruzioni di trattamento.
Questo rappresenta un vantaggio sia per il paziente, sia per il sistema sanitario: riduciamo il ricorso a trasfusioni o all’uso di agenti stimolanti l’eritropoiesi, con un miglioramento della qualità delle cure e un’ottimizzazione delle risorse.


Nel panorama oncologico contemporaneo, il ferro non è più solo un parametro ematochimico da monitorare, ma un vero e proprio strumento terapeutico. L’intervento del Prof. Barni all’IMCID 2025 ha ribadito quanto la gestione della carenza di ferro (e la conseguente anemia sideropenica) rappresenti un aspetto cruciale per garantire la continuità e l’efficacia dei trattamenti antitumorali. Un messaggio chiaro, supportato da nuove evidenze, che conferma il valore di un approccio multidisciplinare e scientificamente fondato alla medicina di oggi.