Il Prof. Livio Blasi, ospite all’IMCID 2025, invita a considerare l’integrazione di ferro come parte integrante del percorso terapeutico del paziente oncologico, per prevenire ricadute cliniche e contenere i costi sanitari.

Nel corso della nona edizione dell’International Multidisciplinary Course on Iron Deficiency (IMCID), svoltasi a Palermo lo scorso 3-4 aprile 2025, l’attenzione si è concentrata sulle nuove evidenze cliniche e sulle strategie più efficaci per affrontare la carenza di ferro. A portare la prospettiva dell’oncologia, insieme al Prof. Sandro Barni (leggi l’intervista qui), è stato il Prof. Livio Blasi, Direttore dell’Oncologia Medica presso l’Ospedale Civico Cristina Benfratelli di Palermo, che ha sottolineato quanto la gestione della carenza di ferro debba entrare stabilmente nella pratica clinica oncologica.

IMCID 2025 - Livio Blasi che ascolta la platea durante la sessione dedicata all'oncologia

Professore, l’IMCID è ormai riconosciuto come un punto di riferimento nella discussione scientifica sulla carenza di ferro. Cosa rende questa edizione particolarmente rilevante dal punto di vista clinico?

L’IMCID ha avuto il merito di “inventarsi” un format tanto utile quanto necessario. È un congresso davvero eccellente, perché affronta in chiave multidisciplinare un tema spesso trascurato, come la carenza di ferro. Edizioni come questa sono fondamentali non solo per aggiornarsi, ma anche per stare al passo con le terapie complementari, che per noi oncologi possono fare una grande differenza nella gestione del paziente.

L’anemia da carenza di ferro correlata al cancro è un problema serio. Quali sono le raccomandazioni più recenti per la sua gestione nei pazienti oncologici?

Non dobbiamo dimenticare che il ferro è l’elemento base per la sintesi dell’emoglobina. Senza ferro, non c’è emoglobina, e quindi l’anemia è dietro l’angolo, soprattutto quando i pazienti sono sottoposti a trattamenti altamente mielotossici. Non solo la chemioterapia, ma anche nuove terapie come gli immunoterapici, gli inibitori delle cicline, i TKI o i PARP inibitori possono contribuire a un quadro anemico serio. Il rischio, se non interveniamo tempestivamente, è perdere tempo terapeutico: dover ritardare o sospendere i trattamenti, ricorrere a trasfusioni o ad altri interventi costosi e potenzialmente rischiosi. E tutto questo si ripercuote anche sulla sopravvivenza del paziente.

Dunque, secondo lei, quale dovrebbe essere il ruolo della supplementazione marziale nei protocolli terapeutici?

Credo che dovremmo iniziare a integrare il ferro già nelle fasi iniziali del percorso oncologico, soprattutto nei pazienti che presentano un deficit di emoglobina. Non è necessario che la somministrazione sia continua: possiamo immaginare strategie flessibili e ben pianificate, ma serve un cambio di mentalità. L’integrazione del ferro, se ben gestita, può evitare l’utilizzo di farmaci stimolanti costosi e ridurre drasticamente il ricorso a trasfusioni. In altre parole, è tempo che la cultura della gestione del ferro entri stabilmente nel nostro bagaglio terapeutico.


Con una visione concreta e orientata alla pratica clinica, il Prof. Blasi ha ribadito all’IMCID 2025 l’importanza di riconoscere la carenza di ferro e l’anemia come parte integrante del percorso oncologico. Prevenire la carenza marziale non è solo una questione clinica, ma anche una scelta strategica che può migliorare l’efficacia delle terapie, ridurre i costi e tutelare la qualità di vita dei pazienti.


L’Abstract Book del 9th IMCID – International Multidisciplinary Course on Iron Deficiency, tenutosi a Palermo dal 3 al 4 aprile 2025, è stato pubblicato come Supplemento n°3 del numero di maggio 2025 della rivista Blood Transfusion (IF=2.4).
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